ESTRATTO: VI Congresso Nazionale di Archeologia Medievale
L’AnALiSi STrATigrAFicA murAriA
e iL TerremoTo: SToriA SiSmicA
degLi ediFici deL “quArTo”
di S. gioVAnni neLLA ciTTÀ deLL’AquiLA
(XiV-XViii SecoLo)
di
Chiara Marcotulli
Passeggiando per il centro storico dell’Aquila, a più di tre
anni dal terremoto del 6 aprile 2009, tornano alla mente le
parole dello storico Ludovico Antinori sul grande terremoto
del 1703: «per gli impedimenti nelle vie ingombre da cementi
caduti … perché commosse e lacerate le mura, e per i molti
puntelli posti fra case e case… stava tutta intravata la città»
(Annali, XV, f. 619).
Se la storia sismica di un ediico può essere considerata
il vero collaudo di un monumento storico (Lagomarsino
2000), un’analisi speciica delle lesioni passate, associata allo
studio delle tecniche costruttive nell’ambito di una conoscenza approfondita sull’evoluzione strutturale del manufatto,
consente di diagnosticarne in modo maggiormente incisivo
il grado di vulnerabilità (Linee Guida, pp. 37-52). In questo
breve contributo si intende ripercorrere la storia sismica di
alcuni monumenti medievali aquilani sulla scorta di quello che
si considera uno sviluppo scientiico, e civico (Parenti 2011),
molto interessante per l’archeologia dell’architettura, vale a dire
la possibilità di trarre informazioni sul grado di vulnerabilità
degli ediici storici attraverso l’analisi stratigraica (Brogiolo
2010; Parenti, Vecchi, Gilento 2010; Boato, Lagomarsino
2011; Brogiolo, Faccio 2011).
Le letture efettuate sulle chiese del “quarto”, o quartiere, di
S. Giovanni – e in particolare sui prospetti di facciata –, seppur
eseguite nel contesto di una ricerca archeologica inalizzata
alla conoscenza delle caratteristiche costruttive peculiari della
fondazione medievale dell’Aquila (Marcotulli 2010), prima
del sisma del 2009, hanno confermato il ruolo diagnostico del
metodo archeologico per il riconoscimento degli eventi sismici
storici e hanno anche permesso di individuare, fra passato e
presente, comportamenti ricorrenti nella risposta sismica degli
ediici, confermandone, in molti casi, i punti di vulnerabilità
(ig. 1).
1. una città fragile
L’Aquilano è da sempre una terra particolarmente soggetta
ai terremoti (Meletti, Stucchi 2009) e le fonti storiche, in
primis la Cronaca di Buccio da Ranallo (XIV secolo), hanno
registrato, con diversi gradi di coinvolgimento, una serie di
importanti eventi tellurici (Figliuolo 2010).
Il primo di questi si veriicò nel 1315 (ig. 2). Antinori,
citando Buccio, scrisse: «a 13 di dicembre furono sentite più
scosse di tremuoti e furono le prime nella città ancora nuova
… restò memoria di questi detti termoti grandi, e si disse poi
d’essere rovinate molte chiese e altri ediici» (Annali, XI, f.
121-122). La Cronaca racconta anche di tremori protrattisi
per quattro settimane, delle varie penitenze messe in atto dai
cittadini e della costruzione di loggiati di legno per ospitare
i superstiti (Cronaca Aquilana, pp. 53-54). Secondo alcuni
storici, quel che concerne il quarto di S. Giovanni, il sisma
apportò gravi danni alla cattedrale di SS. Massimo e Giorgio, in
quei tempi in corso d’opera (Antonini 1993, I, pp. 232-233).
Pochi anni dopo, nel settembre del 1349, ci fu un terremoto
ancor più distruttivo (ig. 2). Crollarono S. Maria di Paganica e
S. Francesco, le cui macerie furono usate per chiudere la porta
urbica dei Leoni che da allora rimase inutilizzata, e ampie porzioni delle mura. Per evitare lo spopolamento della città il conte
Lalle Camponeschi diede ordine di chiudere le brecce aperte
nelle mura di cinta (Cronaca Aquilana, pp. 189-190, Annali,
L’Aquila, 12-15 settembre 2012
XI, f. 630-632). Le vittime furono circa 800: «al cadere delle
fabbriche si alzò una polvere così densa, che sebbene mattino
fosse, non vedeva l’uno l’altro e molti morirono per esso». Gli
ediici e tutte quante le chiese «restarono dirupate per terra,
con danno» (Annali, XI, f. 630-631).
Nel novembre del 1461 L’Aquila fu di nuovo colpita gravemente da uno sciame sismico che si protrasse per circa due
mesi (ig. 2). I danni furono notevoli e «allo stato funesto della
Città rovinata in tante parti, e guaste in tutte le altre, talché la
quarta parte di essa restò adeguata al suolo, e le altre tre rotte,
e lesionate, si aggiunse il non meno funesto del contado» (Annali, XV, f. 617). Questa volta sono più dettagliate le notizie
sugli ediici lesionati del “quarto” di S. Giovanni, fra i quali la
cattedrale di SS. Massimo e Giorgio di cui «cadde interamente
il muro laterale verso le case e l’ingresso del vescovado. Caddero
alcune cappelle» (Annali, XV, f. 613, 635, 671). Interessante
notare che sempre sul ianco meridionale di questo monumento
si siano veriicati i danni più gravi dopo il sisma del 2009.
L’evento sismico più signiicativo nel panorama del costruito medievale aquilano fu quello che colpì la città con una serie
di scosse fra gennaio e febbraio del 1703, noto anche come ‘il
grande terremoto’ che provocò il crollo di molte chiese e torri
campanarie (ig. 2). Antinori annotò che in poco meno di un
mese la città dell’Aquila «intera fu poco meno che rovinata» e
che non vi fu un solo ediicio non lesionato (Annali, XXIV, f.
37-38). Nella chiesa di S. Domenico morirono almeno 600
persone che lì si erano raccolte per fare penitenza (Annali, XXIV,
f. 39). Stessi gravi danni si ebbero nel contado. Si dispone anche
di una serie di relazioni piuttosto dettagliate relative ai numerosi
interventi di veriica dei danni succedutisi al terremoto e per
quel che riguarda il “quarto” di S. Giovanni si sostiene fosse
stato danneggiato in modo particolare (Colapietra 1978, p.
546/1220).
2. Storia sismica e punti di vulnerabilità
delle chiese aquilane: alcuni esempi
La periodizzazione degli eventi sismici sulle facciate di tre
chiese del “quarto” è stata una conseguenza abbastanza naturale
dei risultati conoscitivi raggiunti grazie all’elaborazione delle
relazioni crono-stratigraiche fra USM e all’individuazione
delle fasi costruttive in rapporto alla documentazione storica di
riferimento. Le lesioni, infatti, in molti casi erano ben evidenti,
nonostante i restauri recenti delle murature, per via di marcati
distanziamenti fra i giunti, dislocazioni dei piani e fratture
da compressione dei conci. Il riconoscimento delle lesioni ha
anche messo in luce e contestualizzato, di conseguenza, alcuni
restauri storici.
Sulla scorta delle relazioni sui danni eseguite dopo il terremoto del 2009 e aidate a vari enti di ricerca (http://terremotoabruzzo09.itc.cnr.it/ alle voci Rapporti di Studio e Università
e ricerca per l’Abruzzo) ci si è poi focalizzati sulla ricostruzione
di un quadro fessurativo storico della facciata di ciascun ediicio, cercando di ricondurre le lesioni storiche così individuate
all’abaco dei cinematismi di collasso potenzialmente attivabili
in relazione alle peculiarità costruttive del macroelemento
strutturale “facciata”, così come indicato nelle Linee Guida del
MiBAC (G.U. n. 24/2008, successivamente aggiornate con la
Circolare n. 26/2010 e deinitivamente acquisite nella Direttiva
del G.U. n. 47/2011) e nella Scheda di Rilievo del Danno ai
Beni Culturali-Chiese del Dipartimento della Protezione Civile
(G.U. n. 55/2006, Lagomarsino 2009; Podestà 2010).
2.1 La collegiata di S.S. Marciano e Nicandro di Roio
La chiesa (CF1) è una delle quattro “capo quarto” della città
angioina e fa parte di un isolato nel centro storico della città,
delimitato da piazza S. Marciano, via S. Chiara d’Aquili, via del
Cardinale e via dei Drappieri (CA201). Le analisi stratigraiche
hanno permesso di datare la costruzione della facciata (pp1)
fra il secondo e il quarto decennio del Trecento e di attribuire
alle prime fasi costruttive anche le strutture superstiti dell’area
769
ig. 1 – Il centro storico dell’Aquila con la localizzazione degli ediici indagati nel “quarto”
di S. Giovanni.
ig. 2 – Tabella dei principali eventi sismici dalla fondazione della città
dell’Aquila (fonte BOSCHI et al. 1997; per il terremoto del 2009 fonte
www.wikipedia.it e http://terremotoabruzzo09.itc.cnr.it/).
absidale (pp4) e la fascia inferiore del prospetto laterale destro
(pp2) (Marcotulli 2010).
Come altre chiese aquilane anche questo ediicio, quindi,
ha subito, a seguito del disastroso terremoto del 1703, un
considerevole ripensamento delle strutture dei ianchi e di co-
pertura e un vistoso ridimensionamento in lunghezza – l’abside
attuale è arretrato di svariati metri rispetto a quello originario
– (Antonini 1993, I, pp. 146-148; Fiorani 2009). Le tracce
dei crolli collegabili a questo sisma, però, sono visibili anche sul
prospetto di facciata. Le letture stratigraiche avevano, infatti,
già individuato, dai tagli operati sulla muratura medievale (a
sinistra USM 21046, a destra USM 21073), la ricostruzione
dell’intera parasta di sinistra (USM 21047, 21048, 21049) e di
parte di quella di destra (USM 21056), realizzate con materiale
di recupero. La datazione di questo intervento di restauro storico a dopo il 1703 è plausibile, prima di tutto, in considerazione
del fatto che è stratigraicamente più recente dell’ultima ricostruzione della parte sommitale del paramento, eseguita nella
seconda metà degli anni Trenta del ’900 per il ripristino della
terminazione orizzontale e dell’oculo. In secondo luogo anche le
fonti documentarie attribuiscono svariati danni a questo evento
sismico tanto da far ipotizzare ad alcuni il crollo completo della
facciata (Colapietra 1978, p. 498/1172). Il dato archeologico,
però, pur constatando il ridimensionamento dell’ediicio nel suo
complesso, dimostra che la facciata è originale almeno in quasi
alla cornice marcapiano ed è quindi ipotizzabile che i crolli in
facciata possano essere ascrivibili alla sola angolata sinistra ed
alla parte superiore del paramento.
Un altro restauro storico è stato osservato nel reinserimento
di alcuni elementi del portale monumentale in facciata – i due
stipiti (USM 21064 e 21071), l’architrave (USM 21072), parte
dei conci dell’arco e della cornice (USM 21065) – che riempivano un’interfaccia di taglio (USM 21058) che incideva, in
molti punti, le due lesene aiancate all’apertura. Poiché alcune
annotazioni stilistiche e oplologiche sugli elementi originali
hanno fatto ipotizzare, per il portale, una datazione fra gli ultimi
anni del XIII secolo o il secondo quarto del XIV (Marcotulli
2010), l’intervento di restauro potrebbe essere ascrivibile al
crollo o, più verosimilmente, al danneggiamento conseguente al
sisma del 1461. Infatti le caratteristiche tecnologiche di questo
intervento – materiale di riuso omogeneo e ben lavorato – si
discostano nettamente dallo stile generalmente più grossolano
dei restauri settecenteschi. Antinori, inoltre, relativamente a
questo importante evento sismico, deinì «le chiese di S. Maria
di Roio e di S. Marciano assai mal conce» (Annali, XV, f. 613).
Dopo il terremoto del 2009 sono stati registrati molti
danni, sia sulle strutture laterali e absidali sia sul prospetto di
facciata dove, in particolare, «il danno… si è manifestato con
lesioni di grave entità particolarmente evidenti in corrispondenza del rosone» (Podestà et al. 2011, p. 269). È stato riscontrato
anche il pericolo di ribaltamento fuori piano della facciata, un
770
ig. 3 – Elementi di vulnerabilità con riferimento all’abaco dei meccanismi di danno (Linee Guida): giunto di attesa fra portale e rosone ante 2009
e frattura post 2009 (S.S. Marciano e Nicandro); debole ammorsamento fra la facciata ed i prospetti laterali (S.S. Marciano e Nicandro e S. Vito).
Crediti fotograici post sisma: Archivio fotograico dell’Uicio del Vice Commissario delegato per la tutela dei Beni Culturali, ing. Luciano Marchetti.
meccanismo di danno ricorrente negli ediici religiosi (Lagomarsino, Podestà 1999) e che, all’Aquila, è probabilmente da
associarsi alla presenza di due tipologie murarie ben distinte
e scarsamente ammorsate fra le pareti laterali – in bozzette di
piccole dimensioni, il cosiddetto “apparecchio aquilano” – e la
facciata – in conci squadrati e spianati – (ig. 3) (Lagomarsino
2009; Fiorani 2009; Podestà et al. 2011, pp. 285-286). Per
quel che riguarda la profonda frattura a direttrice sub-verticale
in corrispondenza dell’arco del portale e del rosone, si può
segnalare che, ante 2009, era stata individuata in questo punto
una fase di cantiere con giunto di attesa verticale ad unire le
due fasce di paramento destra (USM 21022) e sinistra (USM
21023) (ig. 3). L’ammorsamento delle grandi aperture, quindi,
si è presentato come un punto piuttosto debole nella muratura.
Le vistose crepe che si sono veriicate nella fascia superiore della
facciata, inine, possono essere attribuibili alla ricostruzione della terminazione orizzontale con elementi non suicientemente
ingranati nel paramento, come le lastre di calcare applicate per
rivestimento invece dei conci originali: un particolare elemento di vulnerabilità riscontrato in molte altre chiese aquilane
(Fiorani 2009, Podestà et al. 2011).
Ante 2009, invece, non vi erano indizi della grande crepa
diagonale che si è veriicata sul lato destro del portale (ig. 4).
La lettura stratigraica, infatti, aveva evidenziato, soprattutto
in questa porzione inferiore del paramento, una particolare
omogeneità costruttiva, senza cesure e senza ammorsamenti di
cantiere. Va però segnalato che questo tipo di lesioni, attribuibili
ad azioni di taglio e riconoscibili per la direttrice tipicamente
diagonale (Lagomarsino 2009, Cangi 2009), erano già state
individuate sulle altre due chiese indagate, con lo stesso andamento e nella stessa posizione.
2.2 La chiesa di S. Vito alla Rivera
La chiesa a semplice pianta rettangolare (CF1), collegiata
del “locale” di Tornimparte, è compresa in un isolato situato
presso la porta Rivera, lungo le mura urbiche, e di fronte alla
fontana “delle novantanove cannelle” (CA301). Come le altre
chiese del “quarto” anche in questo caso l’ediicio attuale è frutto
di pesanti ristrutturazioni settecentesche tranne la facciata,
databile entro la prima metà del Trecento (Marcotulli 2010).
Sebbene nelle fonti disponibili non ci siano riferimenti
diretti alle lesioni subite da questo ediicio nel corso degli eventi
sismici che colpirono la città, la lettura stratigraica ne ha messo
in luce le tracce sulle murature (ig. 5).
La parte superiore della facciata (USM31043 e 31018),
oggi crollata, era ben legata stratigraicamente alla cornice ad
archetti pensili (USM31025) e all’oculo bicromo (USM31021),
771
ig. 4 – Il quadro fessurativo storico con riferimento all’abaco dei meccanismi di danno (Linee Guida): lesioni da taglio per scorrimento dei piani
orizzontali e per fessurazione diagonale (S. Vito e S. Maria di Roio). Particolare di lesioni da compressione (S. Maria di Roio). Lesione per fessurazione
diagonale successiva al 2009 (S.S. Marciano e Nicandro).
ig. 5 – La contestualizzazione stratigraica (lettura e matrix) delle lesioni sismiche: la chiesa di S. Vito alla Rivera.
772
ed è stata attribuita ad un rifacimento piuttosto recente, forse a
seguito del terremoto del 1703. Come già accennato, infatti, in
questo periodo l’intero ediicio venne riediicato relativamente
alle pareti laterali ed alla zona absidale (Antonini1993, I, pp.
277-278), proprio perché, verosimilmente, colpito gravemente
dal sisma.
Più interessanti, però, sono una serie di lesioni rilevate nella
porzione medievale del paramento, che è stato anche possibile
collocare in successione stratigraica relativa. Un primo dissesto piuttosto evidente, con direttrice orizzontale, percorreva,
ad una quota mediana rispetto al portale, tutto il prospetto
di facciata (USM31071 e 31072). Il danno era riconoscibile
perché le due fasce di paramento inferiore, ai lati del portale,
erano leggermente aggettanti rispetto al paramento soprastante,
rientrato (ig. 4). Questo tipo di lesione è riconducibile ad azioni
di scorrimento dei piani orizzontali, in genere attribuibili a
scuotimenti sismici di estrema violenza, come è stato registrato
anche dopo il terremoto del 2009 (si vedano alcune annotazioni
del survey eseguito nel villaggio di Onna: Cangi 2009, p. 4).
Questo smottamento precedeva stratigraficamente il
restauro storico del portale individuabile, proprio come in S.
Marciano, dalla sostituzione di alcuni elementi – estradosso
(USM31080), colonnine (USM31030, 31077, 31029 e 31028)
e parte dei capitelli (USM31078 e 31079) –. L’interfaccia di
crollo/danneggiamento del portale (USM31075) intercettava
chiaramente la linea orizzontale della lesione da scorrimento
e la messa in opera degli elementi sostituiti dell’estradosso
correggeva evidentemente il disassamento dei piani.
Sul lato sinistro della facciata, inine, era visibile una terza
lesione con doppia direttrice diagonale (USM31007), indizio
di azioni di taglio per fessurazione diagonale che, infatti, si
producono solitamente in corrispondenza di grandi aperture
(ig. 4). In questo caso, però, non è stato possibile chiarire quale
delle due lesioni, lo scorrimento orizzontale e il taglio diagonale,
si sia veriicata stratigraicamente per prima.
Più diicile è proporre una datazione per questi eventi
sismici, di cui così chiaramente, ino al 2009, era possibile
leggere le tracce materiali, sebbene in parte ‘sfumate’ dal restauro piuttosto recente in malta cementizia dei giunti e dei
letti della muratura.
Dalla lettura incrociata dei manoscritti dell’Antinori si deduce che il sisma del 1461 abbia gravemente lesionato le strutture
di S. Vito. Parlando del terremoto, infatti, registra crolli e danni
«nella Rivera … oltre alle chiese e alle torri» (Annali, XV, f. 612)
e parlando dell’ediicio attribuisce al 1470 la realizzazione di
alcuni restauri alla chiesa perché «non atta ad essere oiciata»
(Corograia, XLI, f. 678-700). Si potrebbe proporre, quindi, per
il restauro storico del portale, una data successiva al terremoto
del 1461, come per S. Marciano, anche in base al tipo di calcare
e di initura delle ricostruzioni del portale, fornendo contemporaneamente anche un terminus ante quem per il dissesto di
scorrimento orizzontale USM31072 e 31071 (ig. 5). Infatti,
poiché la ricerca archeologica ha attribuito la costruzione della
facciata in un periodo fra 1327-28 e 1342 (Marcotulli 2010),
questo termine potrebbe essere compatibile con il terremoto
del 1349. La lesione, quindi, si sarebbe prodotta a facciata
terminata o, ipotesi più suggestiva, con il prospetto ancora in
ieri, posticipando la terminazione della chiesa di qualche anno
rispetto a tutti gli altri ediici del “quarto” attribuibili alla medesima azione costruttiva urbana. Quest’ultima ipotesi, infatti, è
suggeribile proprio dal tipo di smottamento orizzontale che più
frequentemente si veriica nelle pareti libere o vincolate ad una
sola estremità (Cangi 2009, p. 7).
Relativamente a questo ediicio la documentazione post
sisma 2009 registra «crolli parziali sul lato destro nella parte
alta… crolli parziali e lesioni difuse su tutta la struttura portante» (http://www.commissarioperlaricostruzione.it/Informare/
Interventi-pubblici/27-Chiesa-di-San-Vito-alla-Rivera). Anche
in questo caso, quindi, sembrerebbero confermati alcuni punti
di vulnerabilità già individuati in S. Marciano: scarso ammorsamento fra pareti laterali e facciata (ig. 4) e restauri storici poco
ingranati nella fascia superiore di quest’ultima.
2.3 La chiesa di S. Maria di Roio
La chiesa (CF1), nel “locale” di Roio, è inserita in un isolato delimitato da piazza S. Maria di Roio, via Persichetti, via
Colle di Roio, via della Zecca e via S. Chiara d’Aquili (CA202).
Sebbene gli storici si siano espressi con varie ipotesi sulla sua
data di fondazione, le analisi archeologiche hanno proposto
una sostanziale contemporaneità, almeno per il prospetto di
facciata (pp1), con S. Marciano e S. Vito (Marcotulli 2010).
Come S. Marciano anche questo ediicio venne ridimensionato a seguito del terremoto del 1703. Il sisma, infatti, lo
dovette colpire gravemente, come si deduce dalla totale assenza
di murature medievali tranne che in facciata. Del resto le fonti
registrano la chiesa come «rovinata in tutto» (Annali, XXIV, f.
37) e raccontano che nel 1715-26 ne furono messe in vendita
le pietre, come materiale per la ricostruzione (Antonini 1993,
I, pp. 162-164). Anche qui, come in tutte le chiese indagate
del “quarto” di S. Giovanni, la parte superiore del prospetto
di facciata (USM 22065) è frutto di un restauro riferibile a
questo evento.
Prima del 2009 già si notava una vistosa lesione a direttrice
diagonale nella fascia mediana del lato destro del pp1 (USM
22013, ig. 4). La causa sismica di questo dissesto è confermata,
oltre che dall’andamento tipico delle lesioni da taglio, anche dal
fatto che i conci interessati dalla crepa erano sporgenti rispetto
al piano di facciata. La lesione diagonale era – ed è – associata, anche qui, ad un altro dissesto orizzontale causato dallo
scorrimento dei piani, anche se con un disassamento meno
evidente rispetto a S. Vito ma comunque riconoscibile, grazie
anche ad una serie di lesioni concoidi sui conci del medesimo
corso, possibili indizi di azioni di compressione (ig. 4). A
questo proposito merita segnalare che le fonti si riferiscono
alla chiesa di S. Maria di Roio come «assai mal concia» dopo
il terremoto del 1461 (Annali, XV, f. 613 con riferimento al
cronista Angeluccio da Bazzano).
Anche in questo ediicio il portale, alla luce delle letture
stratigraiche, era stato attribuito ad restauro storico, in virtù
del taglio piuttosto evidente (USM 22061), sulle lesene e sugli
stipiti, e della stereotomia dell’arco (USM 22070) (Marcotulli 2010). Questo intervento può essere collocato a un periodo
successivo alla lesione diagonale già descritta, sempre in considerazione del fatto che il restauro storico sembrava correggere
il dissesto della muratura, un particolare che potrebbe inserirlo
nella serie di restauri seicenteschi segnalati dalle fonti e già
chiamati in causa da alcuni storici limitatamente al rosone,
visibilmente reinserito (Antonini 1993, v. I, pp. 162-164).
Per S. Maria di Roio i danni del terremoto del 2009 sono
ascrivibili, sul prospetto medievale, a «lesioni di grave intensità
con situazione prossima al crollo della sommità della facciata»
e, per il resto dell’ediicio, ad altre gravi lesioni sui ianchi e alla
cella campanaria (cfr. Scheda di valutazione). Anche qui, come
in S. Marciano, il giunto di attesa longitudinale, che univa
le due fasce destra e sinistra del paramento sopra il portale e
sotto il rosone, ha costituito un’interfaccia di vulnerabilità,
confermato dal distacco con direttrice sub-verticale generatosi
in questo punto.
3. conclusioni e prospettive di indagine
Al tempo delle analisi eseguite sulle chiese del “quarto” di
S. Giovanni in L’Aquila, chi scrive non poteva immaginare,
ovviamente, che un disastroso terremoto avrebbe compromesso
gravemente la vita stessa della città. Le letture stratigraiche già
presentate (Marcotulli 2010) e qui riproposte nella chiave di
lettura dell’archeosisimica non hanno potuto usufruire, prima
del sisma del 2009, del necessario supporto di competenze
specialistiche imprescindibile in un’indagine tesa ad individuare
le lesioni storiche sui manufatti. In occasione di questo contributo, quindi, si è voluto focalizzare l’attenzione principalmente
sulla contestualizzazione stratigraica dei quadri fessurativi
storici che le analisi archeologiche hanno messo in luce (ig.
5). La possibilità di ricondurre le lesioni storiche all’abaco dei
773
meccanismi di danno è suggerita nell’ottica di poter tornare
a breve sul posto, con personale specializzato, per veriicare le
tracce archeosismiche e confrontarle autopticamente con le
lesioni prodottesi dopo il 2009.
Ad ogni modo si conferma il ruolo diagnostico dell’archeologia dell’architettura come metodo eicace nell’indagine sia
sulla storia sismica degli ediici sia nella redazione di piani di
rischio e vulnerabilità degli ediici storici, come suggerito nelle
Linee Guida (Boato, Lagomarsino 2010; Brogiolo, Faccio
2010). Le letture sulle chiese del “quarto”, infatti, hanno permesso di attestare, per via archeologica, una certa ricorrenza di
meccanismi di collasso che dimostra come alcuni di questi si
fossero già presentati nella storia sismica degli ediici. È il caso
delle lesioni da taglio rilevate in S. Vito e S. Maria di Roio e
veriicatesi, dopo il 2009, anche in S. Marciano. Inoltre il rilievo
e la conoscenza delle tecniche costruttive avevano già permesso
di evidenziare alcuni elementi di vulnerabilità, costituiti prevalentemente dai restauri storici, soprattutto quelli settecenteschi,
ben individuabili per incongruità di materiale e ammorsamento, e in alcuni giunti di cantiere non troppo rispettosi delle
“regole dell’arte” (Brogiolo, Faccio 2010, p. 58 e nota 10). A
questo proposito un ulteriore spunto di ricerca potrebbe essere
quello di censire archeologicamente, nel territorio aquilano, le
soluzioni antisismiche utilizzate in epoche storiche (Serafini
2009) mettendo anche in connessione, se possibile, le tecniche
costruttive medievali con le tipologie di danno seguite al 6 aprile
2009, per valutarne la resistenza sismica.
L’auspicio è che l’integrazione multidisciplinare delle banche
dati sul rischio sismico con i risultati dei progetti di edilizia storica
già in corso, o in programmazione, diventi un obiettivo scientiico
e sociale dell’archeologia dell’architettura, con il ine di produrre
strumenti utili per il governo consapevole del patrimonio storico
e archeologico, nell’ottica di quella che in Italia va sempre più
deinendosi come “Archeologia Pubblica” (Vannini 2011).
Nota
Desidero esprimere la mia gratitudine all’Ufficio del Vice
Commissario delegato per la tutela dei Beni Culturali, ing. Luciano
Marchetti, nella persona della dott.ssa Antonella Lopardi, e a Manuela Riddei, della Segreteria dell’ing. Vittorio Fabrizi, Emergenza
Sisma, Comune dell’Aquila, per la cordiale disponibilità nel fornire
il materiale fotograico post sisma. Ringrazio inine, per i consigli e la
disponibilità, l’ing. Mauro Sassu, Dipartimento di Ingegneria Civile
dell’Università di Pisa, e l’arch. Carla Bartolomucci, CNR-ITC.
Bibliografia
Annali = Antinori A. L., Annali degli Abruzzi dall’epoca preromana
sino al 1777 dell’era volgare, ms. XVIII sec, vv. XI, XV, XXIV.
Antonini O. 1993, Architettura religiosa aquilana, L’Aquila, vv. I-II.
Boato A., Lagomarsino S. 2011, Stratigraia e statica, «Archeologia
dell’Architettura», XV (2010), pp. 47-53.
Boschi et al. 1997 = Boschi E., Guidoboni E., Ferrari G., Gasperini P., Valen G., Catalogo dei forti terremoti in Italia dal 461
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